Desertificazione commerciale: chiudono le agenzie di viaggi e aprono i bed & breakfast
Non ci sono più agenzie di viaggi, nei centri storici di Roma o di Firenze, di Napoli o di Milano. Una volta non era così: a Milano la CIT era in Galleria Vittorio Emanuele; entravi in Valtur davanti alla scalinata di Trinità dei Monti, a Roma. La sparizione delle agenzie è legata a due fenomeni, uno noto (l’incremento delle vendite on line, governato da Ryanair, Booking.com & C.), l’altro meno: la desertificazione commerciale, soprattutto dei centri città. Per comprendere la drammatica portata del secondo, citiamo l’approfondita indagine condotta da Confcommercio: “Città e demografia d'impresa: come è cambiato il volto delle città, dai centri storici alle periferie, negli ultimi dieci anni” (questo il link). Il direttore del Centro Studi Confcommercio, Mariano Bella, però tanto pessimista non è: “Non va tutto male, cala il numero di negozi, ma il commercio resta vitale e reattivo. Potevamo essere sterminati con tutto ciò che è successo dal 2012 ad oggi”. “Sterminio” potenzialmente generato dalla crisi post Lehman Brothers in poi, ma soprattutto dalla pandemia, che ha dato enorme impulso al canale on line, le cui vendite in Italia sono passate dai 17,9 miliardi di euro del 2019 ai 35 miliardi del 2023 (+ 95,5% i beni e + 42,2% i servizi), con l’online che nel 2023 vale ormai il 12% degli acquisti del beauty e il 17% di abbigliamento. Eppure leggevo - solo una decina di anni fa - che “Le donne italiane, così ricche di gusto e di attenzione ai dettagli, MAI compreranno on line un tubino o un paio di décolleté...”: s’è visto, con Yoox, Zalando, Shein e compagnia. Torniamo all’indagine di Confcommercio, che certifica la sparizione - solo negli ultimi dieci - di più di 110mila attività di commercio al dettaglio. Tra queste vanno annoverate anche le agenzie di viaggi, che erano oltre 11mila nel 2011 e oggi non sono più di 6.500. Fenomeno ancora più marcato nei centri storici di 120 Comuni presi in esame da una specifica indagine (110 capoluoghi di provincia e 10 comuni non capoluoghi, escluse Milano, Napoli e Roma, dove non è possibile la distinzione tra centro storico e non centro storico): a seguito della chiusura di oltre 30mila negozi, la densità commerciale è passata da 12,9 a 10,9 negozi per 1000 abitanti, pari a un calo del 15,3%. Un fenomeno che non dipende se non in minima parte dal calo della popolazione, scesa solo del 2%. Ecco perché, quando passeggiamo in centro - a Trieste come a Trapani, a Biella come a Latina - troviamo saracinesche abbassate per sempre. Però, c’è chi scende e c’è chi sale. Nei centri storici sono sempre meno le attività tradizionali (carburanti -40,7%, libri e giocattoli -35,8%, mobili e ferramenta -33,9%, abbigliamento -25,5%) e sempre più quelle che offrono servizi e tecnologia (farmacie +12,4%, computer e telefonia +11,8%), oltre alle attività di alloggio (+42%) e ristorazione (+ 2,3%), aumentate queste di quasi 10mila unità tra il 2012 e il 2023, grazie soprattutto alla crescita esponenziale dei bed & breakfast: +168% nei centri storici del Sud e +87% in quelli del Centro-Nord. Esprimo forte scetticismo che quei B&B siano effettivamente tali, perché a invadere i centri storici sono le locazioni brevi promosse da piattaforme come Airbnb et similia, causa spesso scatenante overtourism e turismo di massa. Conclusioni: nei centri storici agenzie di viaggi non apriranno mai più; per sopravvivere e sopportare i sempre crescenti prezzi delle locazioni commerciali bisogna vendere non merci ma servizi (vedi le edicole superstiti o i tabaccai; le farmacie fanno storia a parte, ormai vendono tutto oltre le medicine...); bisogna che i Comuni diano una mano concreta al commercio tradizionale, altrimenti nei centri storici vedremo soltanto Zara e McDonald’s, ancora Zara e McDonald’s, poi Zara e (magari) un Burger King.
Eventi: grande business in crescita, altro che MICE
"Ho chiesto agli studenti del master di turismo in IULM di cosa vogliono occuparsi" mi racconta Gabriele Rispoli, direttore commerciale Amadeus "Eventi e hôtellerie di alta gamma, mi hanno detto, nient'altro". Mettiamoci il cuore in pace, quindi, noi agenti di viaggi e tour operator: la Generazione Z vuole occuparsi di lusso e di eventi, punto. Una volta c'era il MICE Meetings, Incentives, Conferences and Exhibitions, ovvero “riunioni, viaggi incentive, conferenze ed esposizioni”: sugli incentive tours le agenzie di viaggi ci hanno campato per anni, partecipandovi (invitate da t.o., compagnie aeree e destinazioni) e organizzandoli (per le aziende clienti). Oggi gli incentive sono in declino e al loro posto stanno letteralmente esplodendo gli eventi, che hanno reso obsoleto il MICE. Chi l'ha detto? Un'autorità del settore, ovvero Franco Gattinoni, che non a caso ha appena riorganizzato l'azienda in tre divisioni, una delle quali si chiama "Events" (il MICE non c'è più) con tanto di managing director, director of operations e novanta (90) persone dedicate. Ecco cosa ho capito sugli eventi, quando ho chiesto lumi al team Gattinoni e a Francesco De Salvo che in L'Oréal - azienda leader mondiale nel settore bellezza & cosmetici - si occupa di fare le gare per scegliere le agenzie di comunicazione: 1. Gli incentive tour stanno passando di moda - È un fenomeno successivo alla pandemia, quando viaggiare - soprattutto in certe destinazioni - era difficile, se non impossibile. Portare un battaglione di parrucchiere a Bali, per dire, era - ed è - diventato complicato. In più i costi (compagnie aeree, servizi in loco) sono sensibilmente aumentati. Infine - vogliamo dirla tutta? - i mitici "viaggi premio" han stancato: in Mar Rosso, in Kenya o a New York, più o meno ci siamo stati tutti, e alla fine la trafila è sempre quella: pullman in gruppo / cena di gala con discorsi celebrativi / selfie a raffica e sui social tanti "Come siamo stati bene! Che bella azienda che ci ha invitato!". Il tutto costa pure un botto di soldi. Insomma, anche no. 2. Tutti vogliamo essere protagonisti e avere l'esclusiva - I social (FB per noi boomer, Instagram e TikTok per i giovani) hanno permesso a tutti di "essere famosi per 15 minuti" (Andy Wharol, 1968), quindi perché intrupparsi in pullman e finire in un anonimo selfie in mezzo alla massa? Gli eventi permettono di far sentire ognuno protagonista ("Vuoi provare la Ferrari dell'ultimo 007? Ti portiamo sul Como Lake e te la facciamo guidare!") e di accedere a luoghi interdetti ad altri. "Per l'evento Fineco Bank a Napoli" racconta Franco Gattinoni "Abbiamo avuto il permesso di accedere ad aree mai concesse ad altri prima di noi, dalla proprietà pubblica. Gli ospiti del committente hanno goduto di una première assoluta". Uno vale uno, ma in un altro senso. 3. Wow effect e ospiti VIP costano troppo e non rendono - Fuochi d'artificio che illuminano a giorno il sea-front di Hurghada. Mahmood e Giorgia in duetto al teatro del mega-resort ai Caraibi. La Ferragni che prende 300.000 euro per presenziare a una sfilata di moda (questo non è un evento, ma rende l'idea sulle cifre che giravano, prima dell'affaire Balocco…). Tutto troppo costoso e - alla fine - come si misura il ritorno? Oggi si vola più basso (la sostenibilità sta entrando anche negli eventi, vedrete…) e gli ospiti devono essere coerenti con l'evento e gli obiettivi del committente: quindi i Momix per l'evento di una banca all'Opera di Roma, Stefano Massini per la celebrazione di Pirandello al Teatro Greco di Taormina, Alessandro Barbero o Edoardo Prati (se non sai chi è Prati, sei un boomer…) per celebrare i 100 anni di storia di una casa editrice. Coerenza e understatement, le nuove parole chiave. Conclusione: fate l'amore (ovvero gli eventi), non fate la guerra (ovvero il MICE).
Network e agenzie: facciamo (finalmente) un po’ d’ordine coi numeri
Quante sono le agenzie di viaggi in Italia? Quanti sono i network? Quante agenzie sono indipendenti e quante affiliate alle reti? Domande che mi vengono costantemente poste, da venticinque anni a questa parte, ovvero da quando mi occupo di distribuzione. Dopo il caos post-pandemico, il mercato si è aggiustato e oggi - anno domini 2024 - possiamo dare qualche numero con cognizione di causa. 5.650 le agenzie attive in Italia. Numero sul quale concordano l’annuario edito da una nota testata editoriale romana e il direttore vendite e network di una nota compagnia di crociere, fonti entrambi affidabili. 5.650 codici aperti, ovvero agenzie che vendono pacchetti al consumatore finale e hanno un negozio fisico: non ricettivisti, non stagionali, non agenti di viaggi da casa, non OLTA (aggiungo io). Ovvio che 5.650 codici significa che i p.v. aperti al pubblico sono di più, ma quanti boh. Comunque: erano 6.500 prima del Covid, negli ultimi due anni ha chiuso un migliaio di agenzie, il 15% del totale. Sinceramente? Poteva andare peggio, per come si erano messe le cose esattamente quattro anni fa. Il numero crollato è quello dei dipendenti, visto che molte agenzie - per sopravvivere - hanno licenziato tutti e il titolare è tornato al banco. Quanti? Non si sa. 4 le macro-aggregazioni superstiti. Welcome Travel Group, Gattinoni Mondo di Vacanze / MyNetwork, Bluvacanze / Blunet e Uvet Travel System. Non ripeterò cosa siano le macro-aggregazioni, perché lo scrivo dal 2013, ma chi sa di retail conosce la differenza tra i brand citati e - per dire - Giramondo Viaggi di Verona (che esiste ancora, da 45 anni, onore alla famiglia Armellini). Erano 6 nel 2019, ma solo perché Geo Travel Network è finito in Welcome e Robintur in Gattinoni. Sono tante o sono poche? Beh, è il pesce grosso che ha mangiato il pesce piccolo… Quante agenzie “cubano” ciascuna, a marzo 2024? La fonte sono le reti stesse, quindi prendete i numeri col beneficio d’inventario: Welcome 2.450, Gattinoni 1.520, Bluvacanze 900, Uvet 400: totale 5.270. Totale che NON torna, leggi sotto. 10 i network medio-piccoli. Quante le reti che NON sono macro-aggregazioni? Una dozzina, più o meno, perché appaiono, scompaiono, si fondono tra loro… Ecco il mio personalissimo cartellino: MRH Group (ex Mister Holiday, proprietà Volonline); Nuove Vacanze di Corrado Lupo Via con Noi di Beppe Ambrosino e Primarete Network di Ivano Zilio (che però vanno contate in Blunet); Agenzia per Amica di Achille Lauro; Frigerio Viaggi Network della famiglia Frigerio; Travelpro frutto della fusione di Travelbuy di Alfredo Vassalluzzo e Si Travel Network di Simone Aggio; VeryNet di Maurizio Bosia; Enjoynet di Andrea Cani e Giorgio Zuccati, Infovacanze di Roberto Agirmo e infine la storica Giramondo Viaggi. Se ne sto dimenticando qualcuna, chiedo venia. Quante agenzie in totale? E chi lo sa… Facciamo meno di 1.000, anche se Achille Lauro, da solo ne affilia 350. Tra 4.000 e 4.500 le agenzie affiliate a un network (?). Stesse fonti del primo punto, però questo è l’unico numero che NON torna. Sommando le 5.270 dei Fab 4 e le 1000 degli altri fanno oltre 6.000, ovvero più delle agenzie sul mercato. Perché? Ve lo dico io: succede che un p.v. risulti affiliato a due reti diverse, magari una è quella di prima (che non vuole mollarlo) e l’altra è quella con la quale ha firmato il nuovo contratto. E poi perché (anche quando l’agenzia è chiusa, oppure è indecisa se farlo…) il network la lascia in elenco, visto che da t.o. e partner è meglio andare con un p.v. in più, piuttosto che con uno in meno. E infine perché a ogni codice può corrispondere uno, due o dieci punti vendita (chi lo sa?) e poi ci sono pure gli agenti di viaggi da casa (con agenzia). Conclusione: con questi numeri, network e agenzie stanno meglio di quanto molti profeti di sventura blateravano, solo qualche anno fa. Alla faccia di internet. P.S. in quei tre faldoni della foto, nella mia libreria, c’è tutta la storia di trent’anni di networking turistico italiano.
Quando turismo di massa significa crassa ignoranza di storia e geografia
“Le Cinque Terre sono cinque isole?” “La pizza Margherita si chiama così perché l’hanno inventata a Santa Margherita?” “Colombo e Garibaldi hanno navigato assieme?”. Non sono battute di un comico TV, ma alcuni degli strafalcioni elencati in un fulminante articolo del Secolo XIX (quotidiano di Genova, peraltro in via di acquisizione da parte del Gruppo MSC). Firmato da Dario Freccero e pubblicato il 4 maggio 2024, esordisce così: “Di milioni di turisti stranieri che visitano le perle della Liguria quelli che fanno domande - dal bizzarro all’assurdo al letteralmente imbarazzante - sono una minima parte. Ma si sentono spesso e specie da certe nazionalità, in particolare dagli americani. Infatti tra le guide turistiche della Liguria è una gara quotidiana ad aggiornare il ‘bestiario dei turisti’, un elenco che circola sulle chat” e certifica che storia e geografia sono - ormai - patrimonio di pochi. Ci limitiamo al virgolettato delle guide e a una (amara) riflessione finale. “C’è chi scende dalla nave da crociera in piazzetta a Portofino e chiede se siamo a Positano (in effetti i nomi sono simili - ndr) e quando li portiamo a Portovenere, per tutti è sempre Portofino. Una cosa che poi mi fa impazzire, letteralmente, è quando chiedono se le Cinque Terre sono isole: ma come possono esserlo, se ci siamo arrivati in treno da La Spezia?! E molti chiedono se siamo “in Toscana” e “sull’oceano Atlantico”, ignorando il Mediterraneo e la Liguria...” “Non sapete quanti, passando da Santa Margherita, chiedono di fermarsi per provare ‘la grande pizza che è nata qui: la Margherita’... Altra domanda ricorrente: se il pinot grigio ‘Santa Margherita’ sia prodotto a Santa, perché negli USA questa marca di vino dev’essere popolarissima e tutti ne vogliono bere un calice. Quanti poi chiedono di assaggiare lo ‘Spritz locale’ al posto del nostro ‘Sciacchetrà’: la risposta è nei social, perché mi mostrano una foto su Instagram nella quale si vedono due bicchieri arancioni con lo sfondo delle Cinque Terre, quindi per loro è un prodotto locale”. “Io ho quasi litigato con una turista asiatica che sosteneva non fossimo a Manarola perché i colori degli edifici che conosceva lei, per un’immagine fotoshoppata sui social, non corrispondeva alla realtà. Quando le ho mostrato che la forma delle case era identica ma cambiavano i colori, mi ha chiesto se c’è stato uno tsunami che ha cambiato tutto. Non voleva accettare che fosse quella dei social l’immagine errata. Un altro turista, questo di Hong Kong, mi ha chiesto se Manarola si chiama così per la Motorola”. E via di strafalcione in strafalcione: nell’Acquario di Genova ci sono anche le balene? In città si possono visitare i luoghi di ritrovo della mafia? Il galeone dei pirati al Porto Antico è la caravella originale con la quale Colombo ha scoperto l’America? E sempre Colombo (sono americani, quindi interessati al tema - ndr) ha navigato con Garibaldi, visto che erano entrambi di Genova? (Amara) conclusione: il 2024 sarà l’anno di maggior successo nella storia del turismo italiano: stranieri a frotte stanno invadendo la Liguria e l’Italia tutta. Ma a che serve essere un Paese di santi, poeti e navigatori se poi tutto si riduce allo Spritz e alla pizza Margherita?
Viaggi e vacanze nel carrello della spesa? Per nulla facile, ecco perché
“Il balzo di Apicella dentro il carrello della spesa” ha titolato TTG Italia, commentando la partnership recentemente siglata tra il network guidato da Adriano Apicella e Conad, ovvero il Consorzio Nazionale Dettaglianti, cooperativa della gdo (Grande Distribuzione Organizzata) con base a Bologna, 3.300 punti vendita e 8 milioni di clienti con la Conad Card. Sono appunto questi 8 milioni che dovrebbero permettere a Welcome Travel di “uscire dal solito ‘giro’ per entrare dalla porta d’ingresso della gdo”. Mi permetto di esprimere qualche dubbio sull’efficacia dell’operazione. Faccio una premessa ed espongo le mie ragioni. I clienti dei supermercati (cioè noi, quando facciamo la spesa alla Coop o alla Conad, al Lidl o in Unieuro) hanno sempre ingolosito chi vende servizi, ovvero prodotti non a scaffale. Siamo decine di milioni, siamo fidelizzati (chi non ha in portafoglio una Fidaty di Esselunga, una carta SocioCoop o una card SpesAmica di Carrefour?) e quindi disposti a spendere: operatori telefonici e assicuratori, per esempio, ci provano da sempre. Anche viaggi e vacanze – prodotto non a scaffale per eccellenza - sono da sempre venduti nei supermercati. L’esempio forse più noto è quello di Robintur, la rete di agenzie di viaggi cedute l’anno scorso da Coop Alleanza 3.0 al Gruppo Gattinoni. Ma tutte le catene della gdo hanno un’agenzia di viaggi di riferimento. Esterna, cioè non di proprietà del retailer: Eurotours Italia Srl di Sommacampagna (VR) per Esselunga; Ignas Tours SpA di Egna (BZ) per Famila del Gruppo Selex; recentemente Carrefour ha firmato una partnership con Bluvacanze. Oppure si dotano di un’agenzia “interna”: era il caso di Coop con Robintur e Coop Viaggi, ma anche di Eurospin con Eurospin New Business Srl di S. Martino Buonalbergo (VR) e anche di Viaggi Conad, la cui licenza è in capo alla Thruexperience Srl di Valdobbiadene (TV). Chissà perché chi vende viaggi nei supermercati gravita spesso tra Trentino e Veneto... Nessuna delle agenzie citate è in cima alle vendite di pacchetti dei maggiori t.o. o di crociere di Costa o MSC Crociere, eppure di potenziali clienti non ne hanno migliaia, ma milioni. Per tre semplici motivi, a mio - ovviamente sindacabilissimo - giudizio: 1. Fare la spesa è una cosa, comprare una vacanza è un’altra. Il carrello si riempie con 100, massimo 150 euro (sempre che non si esca con un cartone di Moet & Chandon), quindi la predisposizione che abbiamo a spendere è quella lì. Una vacanza costa da 10 a 30 volte di più, e il processo di acquisto è completamente diverso. Non esiste l’acquisto d’impulso, che pure nella gdo è stato sperimentato: ricordate l’invasione delle smart-box di viaggi, anni fa? Quelle che propongono “esperienze” da 100 o 200 euro: sembrava dovessero cancellare le agenzie tradizionali, invece oggi occupano una piccola nicchia di mercato (che comunque in agenzia non ci va). Una vacanza è un acquisto ponderato, da fare con calma e con qualcosa (un catalogo, un tablet, uno smartphone) in mano. 2. Non ci fidiamo abbastanza delle marche della gdo (per comprare viaggi). Intendiamoci, Esselunga o Coop o Conad non sono love-mark, ovvero “marchi che suscitano un forte legame emotivo con i consumatori, al di là della qualità o del prezzo del prodotto o del servizio” (tipo Coca-Cola o BMW, per dire) però meritano tutta la nostra fiducia, visto che mettiamo nel carrello quello che loro hanno comprato per noi. Non a caso, la quota di prodotti “private label” (ovvero a marchio Conad o Coop) cresce rispetto a quelli di marca: “Se questo prosciutto cotto è marcato Conad magari è meglio – e costa pure meno – di quello promosso all’epoca da Mike Bongiorno”. Una crociera da comprare al Lidl o un viaggio di nozze in Unieuro, però, sono un’altra cosa. Quelli preferiamo acquistarli da qualcuno (pure Booking.com, vabbè) che ci convince di più. 3. Alla fine l’unica cosa che conta è il prezzo. I margini della gdo sono risicatissimi, come è tipico delle filiere lunghe (ovvero di quelle dove il prodotto, per arrivare da chi lo produce a chi lo vende, subisce molti passaggi). Nel 2022 l’Osservatorio sulla Gdo di Mediobanca certificava un valore del 1,4%, in calo rispetto al 2,4% del 2021 e con prospettive ancora peggiori – causa inflazione – per il 2023. Quando compriamo con la formula 3x2 capita di acquistare prodotti sotto prezzo, ovvero quelli dove il retailer – pur di vendere – ci rimette. Come fa a stare in piedi un business con margini così ridotti? Solo con la quantità, coi numeri, perché la spesa la facciamo tutti i giorni: detersivo e dentifrici, pasta e burro si compreranno sempre, con o senza Covid, prima e dopo le guerre. Siccome i viaggi sottocosto non esistono e una crociera costa almeno quanto tre o quattro pranzi di Natale, i numeri non sono dalla nostra parte. Perché se l’unica variabile che resta è il prezzo, allora tanto vale aspettare che torni il mai dimenticato Mar Rosso a € 399 tutto incluso. In supermercato, o in agenzia, o su Google, non fa differenza.
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