Chi è Roberto Gentile

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L’EDITORIALE DI ROBERTO GENTILE

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CHI VA E CHI VIENE

IL NETWORK DEL MESE

L’AGENZIA DEL MESE

reti desaparecidos11 15r gentile qDal 1999 censisco reti di agenzie, dal 2010 pubblico un report annuale intitolato Network Monitoring©, la fotografia più dettagliata della complessa realtà dei network italiani. Sono centinaia, dal primo che è stata fondato (Leader Group, 1982) all’ultimo che è stato chiuso (Liberi Tutti, ottobre 2015). Il trend è quello noto: il numero delle reti è sceso dalle 121 del 2010 (picco storico) alle 108 del 2011 e nelle ultime stagioni il crollo è verticale. Nello stesso periodo, si stima (qui si va più a spanne) che le agenzie siano scese da oltre 12.000 alle 8.500 attuali. Meno reti, meno agenzie (e anche meno t.o., ma questo è un altro discorso). Sono 38 i marchi, le aggregazioni e i network che hanno sospeso l’attività, solo negli ultimi 4 anni, e l’elenco comprende nomi noti, da  Buona Vacanza a Viaggi di Litta, da Service Team a Baia di Luna. Perché hanno chiuso? Ho individuato le criticità che determinano la crisi di una rete, quattro sono le più statisticamente rappresentative. Primo, inadeguatezza imprenditorial-manageriale: gestire un network è un lavoro complesso, che s’impara sul campo e il cui successo è determinato dal gradimento delle agenzie affiliate, variabile nel tempo e ondivago come pochi. Un progetto può partire brillantemente ma tramontare velocemente, se cambiano le condizioni di riferimento, oppure non decollare del tutto. La causa risiede spesso nei responsabili della rete, manager o imprenditori, più che nel format o nella commercializzazione. I network di successo sono gestiti da professionisti preparati, che godono della fiducia delle agenzie, soprattutto nei momenti difficili. Secondo, sottovalutazione economico-finanziaria: avviare un network è paradossalmente più semplice che aprire un’agenzia. Con il gruppo d’acquisto o il franchising non servono neanche una licenza, né il  direttore tecnico, né locali aperti al pubblico: un buon commerciale, un sito e un telefono sono più che sufficienti. I problemi vengono dopo: servono soldi per stampare un catalogo, per implementare un sito di e-commerce, per garantire servizi alle agenzie, per presentarsi da t.o. e compagnie aeree per negoziare prodotto. Se la principale fonte di reddito della rete sono le quote di adesione delle agenzie, appena il ritmo rallenta, il destino è segnato. Terzo, parenti, amici & conoscenti: siamo in Italia e anche nel nostro settore le aziende con attitudine familiar-artigianale prevalgono nettamente su quelle a gestione managerial-industriale. Càpita sovente, quindi, che ai vertici di una rete ci sia l’imprenditore, e al suo fianco la moglie, i figli, il cognato... Quando il boss di un reparto strategico, come commerciale o amministrazione, è scelto con criteri parentali e non meritocratici, il pericolo che sia la persona sbagliata al posto sbagliato aumenta, e le conseguenze possono essere devastanti. Quarto, il mondo cambia: ci sono progetti che nascono in un certo contesto, si sviluppano bene, ma poi non riescono ad adattarsi alle mutate condizioni. Erano geniali sia l’intuizione della centrale di acquisto che generò Service Team (Bravo Net, HP Vacanze, Marsupio Group, Fespit Turismo, HRG) che la partnership di Buona Vacanza con eDreams. Poi qualcosa non ha funzionato, e in men che non si dica è saltato tutto per aria.striscia loghi orizz

cardone marioL'editoriale di Mario Cardone, founder Aurae Hospitality Marketing

L’hôtellerie (composta in Italia per il 97% da proprietà familiari indipendenti) è in piena rivoluzione tecnologica e il gap col mondo del trasporto aereo è più o meno di 10 anni. Come dire che  siamo fermi al 2005, in termini di innovazione tecnologia e logiche di distribuzione: molti alberghi non hanno implementato i propri sistemi informatici, dispongono ancora di listini con prezzi statici e siti internet privi di qualsiasi significato. Il tutto per la gioia di attori come Booking e Expedia, che hanno avuto vita fin troppo facile nel conquistare quote di mercato e in alcuni casi si sono letteralmente “impossessati” della strategia di distribuzione delle strutture alberghiere. Una corretta strategia di distribuzione presuppone un presidio di tutti i canali di vendita, sfatando il mito che è sempre meglio una prenotazione diretta. Il web si evolverà ulteriormente e riuscirà a semplificare sempre più la vendita di prodotti complessi. Credo che la partita tra off line e on line si giocherà sulla reputazione e sull’affidabilità che verrà trasmessa al cliente finale. Il mondo alberghiero fatica ancora a percepire le agenzie di viaggi come partner: la principale ragione è che sono due mondi che si conoscono poco e le agenzie vengono ancora percepite come un mero costo (commissioni), piuttosto che come un prezioso canale di vendita, peraltro tra i più profittevoli per gli hotel, in quanto garantisce mediamente un soggiorno medio e una tariffa media di vendita più alti. Dal canto loro, le agenzie di viaggi dovrebbero fare uno sforzo in più per presentarsi agli hotel come venditori proattivi e dinamici. Aurae Hospitality Marketing è un incubatore di progetti legati all'hotellerie di fascia alta. A dicembre 2015 saremo ad ILTM Cannes, la più importante fiera dei viaggi di lusso, per presentare il progetto Autentico Hotels, un network composto esclusivamente da strutture alberghiere italiane di pregio. L'obiettivo è quello di aiutare le nostre eccellenze (strutture alberghiere) a competere nel panorama della distribuzione alberghiera mondiale. Al momento sono dieci le strutture pilota che hanno aderito al progetto, tuttavia non vogliamo superare la ventina, per riuscire ad essere efficaci sul mercato.

iphone-6plus.jpgdigital-experience.jpgDa quando è arrivato il web nel turismo, una quindicina d’anni fa, si usa fare una netta distinzione tra canali: off line è quello tradizionale, presidiato dalle agenzie di viaggi; on line è quello digitale. I due mondi si sono guardati a lungo con reciproco sospetto, se non peggio. “La nostra relazione con gli agenti di viaggi è molto semplice: loro ci odiano, noi li odiamo” proclamava nel 1999 uno spocchioso Stelios Hagi-Joannou, per lanciare la sua compagnia easyJet. Imitato dalla Ryanair di Michael O’Leary, visto che - solo quattro anni fa - si riservava il “diritto di cancellare le prenotazioni da siti terzi, comprese le agenzie di viaggi”. Poi è arrivata Expedia, sbarcata in Italia nel 2001 e oggi diventata la prima agenzia di viaggi del mondo. Che ha capito come il canale tradizionale, almeno nei mercati meno evoluti come il nostro, servisse, eccome. Nel 2008 ha lanciato il programma di affiliazione per  le agenzie di viaggi, piaciuto al punto che è stato esportato e oggi è applicato in mezzo mondo, col nome di Travel Agent Affiliate Program. Quindi on line e off line devono andare d’accordo, per vendere voli, hotel e pacchetti al consumatore finale. Consumatore che però, nel frattempo, oltre che multicanale è diventato multimediale: per accedere alla rete, accanto all’ormai tradizionale desk-top, utilizza lap-top, tablet (che ha ucciso il net-book), phablet e smartphone (che ucciderà il cellulare). E lo fa saltabeccando da un mezzo all’altro nell’arco della giornata (vedi immagine a destra): iniziando al mattino dal tablet, per poi migrare sul PC dell’ufficio, sbirciare lo smartphone in pausa pranzo, tornare a casa e mettersi sul divano col double-screen (TV e smartphone, phablet e TV) e smanettare sui social. “Il nuovo comportamento implica che si acceda alle informazioni utili attraverso tutti i mezzi (compresa, ad esempio, la vetrina di un negozio in strada abilitata a touch screen) e tutti i mezzi siano validi per procedere all’acquisto” osserva Roberto Liscia, presidente di Netcomm “L’on line influenza in modo profondo circa un acquisto tradizionale ogni quattro, e quasi un acquisto su tre nel turismo”. Aggiungiamo che gli smartphone rappresentano ormai il 66% dei telefoni mobili nel mondo (fonte: Gartner, dicembre 2014) e sempre più prodotto turistico passerà loro tramite. Conclusione, quasi lapalissiana: la competizione tra on line e off line si gioca sul consumatore, non sul canale. Alla fine vince chi propone il miglior value for money, punto.

 

network-indipendenti_jul2015-q.jpgSono 8.500 le agenzie che vendono leisure in Italia (erano oltre 12.500 prima della crisi). 121 i network censiti nel 2010, all’apice della crescita (già scesi a 108 nel 2011): oggi non arrivano alla sessantina. Sono 6.241 le agenzie affiliate a 8 macro-aggregazioni e 1.030 quelle che fanno riferimento a 22 network indipendenti. Restano solo un migliaio le agenzie non legate a reti. Sono numeri che certificano l’ecatombe subìta dal sistema nelle ultime stagioni, e parliamo solo della distribuzione (il tour operating è messo peggio). Il perché di tutto questo dopo qualche definizione preliminare. Dal 2002 definisco “network” un gruppo di agenzie di viaggi riunite sotto qualunque vincolo societario (società unica, di persone o di capitali; società consortile; società separate), legate da qualunque formula contrattuale (proprietà, franchising, affiliazione, associazione in partecipazione, collaborazione commerciale ecc.), che condividono un marchio o un’insegna, hanno sede legale in Italia e almeno 5 punti vendita operativi. Non mi soffermo sui 5 p.v., fonte di inesauribili discussioni. Dal 2013 considero “macro-aggregazione” un network di cospicue dimensioni (da circa 300 p.v. in su) che eroga servizi alle agenzie affiliate (di proprietà o indipendenti), ma talvolta anche a quelle contrattualizzate da reti più piccole (a loro volta indipendenti o controllate, in tutto o in parte). Opera come una centrale di acquisto della Grande Distribuzione Organizzata, negoziando coi fornitori (compagnie aeree, GDS, supplier vari) e talvolta è integrato a monte (ovvero un t.o. o un fornitore ne detiene la maggioranza del capitale e, in tutto o in parte, il controllo). A luglio 2015 corrispondono a questo profilo 8 macro-aggregazioni: Geo Travel Network; Uvet Network e Last Minute Tour; Welcome Travel Group; Marsupio Group / Fespit / Achille Lauro NeTravel; Gattinoni Mondo di Vacanze; Open Travel Network; Bluvacanze Cisalpina Tours; Robintur Travel Network. In totale affiliano 6.241 agenzie e dominano il mercato, soprattutto nel centro-nord. Oggi propongo questa definizione di “network indipendente”: non ha alcuna relazione (azionaria, commerciale, collaborativa) con le 8 macro-aggregazioni citate; le sue agenzie vendono essenzialmente leisure e il business travel è attività accessoria; il core-business si basa sull’agenzia aperta al pubblico, e non su canali alternativi quali gli home based travel agent (quelli introdotti da CartOrange, tanto per intendersi). Secondo questo criterio, i network indipendenti presenti oggi in Italia sono 22: quello numericamente più rappresentativo è Primarete Network, ma tanti sono i marchi noti (GiraMondo e Le Marmotte, One! Travel Network e Frigerio Viaggi). Affiliano solo 1.030 agenzie, meno della metà delle 2.166 affiliate ai 36  network indipendenti che operavano solo 18 mesi fa, a dicembre 2013. 1.030 agenzie che rappresentano solo il 12 per cento del mercato (ovvero le 8.500 di cui sopra). Perché i network indipendenti vivono un ineluttabile declino? Per 5 ragioni: 1) le 8 macro-aggregazioni cannibalizzano il mercato 2) il potere di negoziazione con i fornitori è sempre più ridotto 3) il radicamento sul territorio non è più un vantaggio competitivo 4) i costi di gestione non sono ripagati da fee, royalties e over  5) il modello di business che li ha generati è obsoleto. Il loro futuro è segnato: o confluiranno nelle macro-aggregazioni (come decine di loro colleghi hanno già fatto, spesso obtorto collo), oppure sono destinati a difendere una nicchia, sempre più piccola e attaccabile. O usciranno dal mercato. Senza fare grande rumore, perché il mondo è già andato da un’altra parte.

 

michele-bauli.jpgbauli-marchi.jpgMichele Bauli, direttore generale del Gruppo Bauli, è un uomo e un manager fortunato: rappresenta la quarta generazione di una stirpe di pasticceri fondata da Ruggero Bauli nel 1922. “Di solito le aziende saltano per aria alla terza generazione, noi l’abbiamo scampata, siamo ottimisti” afferma con molto understatement. Oggi il Gruppo Bauli, sede storica a Verona, fattura 465 milioni di euro, ha 1.600 dipendenti medi, 6 stabilimenti di produzione (5 in Italia, uno in India), esportando solo il 10%. Insomma, un colosso nato dal pandoro e oggi leader dei prodotti da forno, della pasticceria industriale e dei biscotti. La famiglia Bauli detiene la proprietà dell’azienda, ma da decenni ne ha affidato la gestione al management e - al contrario di altre aziende familiari venete come i Benetton e i Rosso di Diesel - figli ed eredi non lavorano in azienda. Michele Bauli non ha un’auto aziendale “Costerebbe troppo, uso la mia...”. Assimilata da sempre al pandoro veronese (come il panettone nasce a Milano), per Bauli il problema più serio era la stagionalità. “Le imprese stagionali devono saper fare bene i conti. Noi dobbiamo comprare la farina a marzo e incassare i ricavi di panettoni e pandori a dicembre. Troppo costoso, così negli anni ’90 rilevammo prima un’azienda che produceva croissant, poi la Doria, famosa da sempre per i biscotti. Nel 2009 Nestlé cedeva due marchi storici come Motta e Alemagna, così comprammo anche quelli e acquisimmo la leadership del settore festività. Infine, nel 2013 abbiamo rilevato la Bistefani, marchio forte e percepito di alta qualità, che oltre a produrre i Krumiri, aveva in portafoglio anche la Girella e il Buondì, due prodotti storici di Motta che riporteremo sotto il marchio originale. In tal modo, oggi i due terzi dei nostri volumi non sono più legati alla stagionalità”. A sfatare anche il mito che gli italiani non sappiano creare poli industriali. Altro tema delicato, il prezzo di vendita: “Disporre di più marchi ci aiuta anche a guadagnare spazio nella grande distribuzione organizzata, che rappresenta il nostro canale principale. Spazio che dobbiamo difendere coi denti, perché a comandare sono marchi come Esselunga o Carrefour, non noi industriali. Basti un esempio: il classico pandoro Bauli da 750 grammi esce prezzato a € 8.90, mentre il prezzo medio al quale viene acquistato è inferiore di 3 o 4 euro, e in alcuni supermercati si trova, in promozione, anche a meno. Questo perché i dolci natalizi sono un prodotto civetta, per richiamare clientela, e non raramente sono venduti sottocosto. E noi non possiamo farci nulla”. Stagionalità superata e prezzo di vendita imposto dalla distribuzione: dovremmo imparare qualcosa da Bauli, noi turistici.