10 marzo 2021 - Consigli di lettura, solo per lettori forti e intellettualmente liberi
Con due necessarie premesse: in generale, le testate generaliste (ovvero quelle che troviamo in edicola o sul web) di turismo capiscono poco e scrivono male, perché il tema è complesso e soprattutto è soggetto a banali semplificazioni (meglio l’incoming dell’outgoing, di vacanze si scrive solo a Natale e ad agosto, la solita storia del 13% di PIL ecc.); secondo, citerò autori non necessariamente competenti, nel settore, ma che hanno le idee chiare e sanno esporle in bello stile. Ecco quindi, secondo il mio personale, parziale e quindi opinabilissimo giudizio, chi val la pena leggere: i grandi sapienti, Ernesto Galli della Loggia del Corriere della Sera e Lucio Caracciolo di Repubblica (e Limes): il primo è storico e accademico, il secondo uno dei massimi esperti di geopolitica in Italia. Sono quelli che sanno spiegare temi complessi con concetti comprensibili (non semplici, bisogna aver studiato): perché la scuola versa nello stato in cui è e il MiC (ex Mibac, ex Mibact) è ridotto così; perché il Medio-Oriente è una polveriera e non se ne verrà fuori per decenni; perché la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle che si sono sperimentate fino ad ora (cit. Winston Churchill). I reporter di una volta, Domenico Quirico de La Stampa e Lorenzo Cremonesi del Corriere della Sera, Fausto Biloslavo del Giornale e Paolo Rumiz del Piccolo: sono quelli che in guerra ci vanno sul serio e scrivono sotto le bombe, rischiando la vita e spesso scampandola per caso (Quirico venne rapito in Siria, nel 2013, e liberato cinque mesi dopo). Sono gli eredi dei Robert Capa della seconda guerra mondiale o delle Oriana Fallaci del Vietnam: ci aiutano a capire come i conflitti descritti dai sapienti si trasformino in guerra, con lacrime e sangue. Anche in paesi (Libia, Libano, Iran, ex Birmania) dove si andava per vacanza. I direttori partigiani, Marco Travaglio del Fatto Quotidiano e Vittorio Feltri fondatore di Libero, Claudio Cerasa del Foglio e Vittorio Sallusti del Giornale: scrivono da dio, hanno il dono della sintesi e soprattutto - frequentando salotti e talk-show televisivi, dai quali sapienti e reporter rifuggono - sono sempre sul pezzo. Ahimè sono percepiti, anche se non sempre lo sono, di parte, quindi su un tema divisivo (a caso, il nuovo Ministero del Turismo) possono scrivere tutto e il contrario di tutto. I fustigatori della casta, Gian Antonio Stella del Corriere della Sera e Sergio Rizzo di Repubblica: la casta (1.200.000 copie, 22 edizioni, dal 2007 a oggi) l’hanno inventata loro, quindi chi meglio di Stella e Rizzo (la versione su carta della Gabanelli di Report) può menare fendenti sugli infiniti scandali italici? Nel turismo, parchi pubblici trasformati in aree edificabili; assessori che si lasciano comprare con un viaggio a Dubai; cubature alberghiere che si moltiplicano a ogni cambio di giunta comunale... Un cahier de doléances che non avrà mai fine, peggio con l’imminente arrivo dei miliardi del Recovery Fund. I veri esperti di settore, Leonard Berberi del Corriere della Sera e Andrea Giuricin professore Uni Bicocca: ne cito solo due, in rappresentanza dei tanti che ognuno di noi legge, ma questi sono veramente dei fuoriclasse. Sanno soprattutto di compagnie aeree e mobilità, Berberi ne scrive sul Corriere, Giuricin viene intervistato tutte le volte che Alitalia dev’essere rifondata da capo (quindi spesso). Perché proprio loro? Perché sono giovani, perché hanno studiato, perché maneggiano numeri e dati, perché sanno farsi capire e - soprattutto - non danno la colpa al Palazzo se le cose vanno male. Le donne, le più toste di tutte, Agnese Pini, direttrice del quotidiano fiorentino La Nazione; Norma Rangeri, direttore responsabile de il Manifesto; Selvaggia Lucarelli, editorialista del Fatto Quotidiano: sanno scrivere, non le mandano a dire e hanno saputo imporsi, sicuramente con maggiori sforzi dei 14 colleghi citati sopra, perché il giornalismo italiano è maschilista quanto e più del turismo. “La preghiera del mattino dell’uomo moderno è la lettura del giornale. Ci permette di situarci quotidianamente nel nostro mondo storico” (cit. Friedrich Hegel). Buona lettura, quindi.
22 febbraio 2021 - Perché l’entusiasmo per il rinato Ministero del Turismo è mal riposto, o almeno eccessivo
Il “nostro” Ministero ha una lunga storia: istituito dal Governo Segni nel 1959, soppresso nel 1993 a seguito di referendum popolare promosso dalle regioni e appoggiato dai radicali, per vent’anni le sue funzioni vengono affidate ai dipartimenti del turismo e dello spettacolo, nell’ambito della Presidenza del Consiglio. Funzioni conferite - dal 2013 - al Mibact Ministero per i beni, attività culturali e turismo, salvo la breve parentesi del Governo Conte 1, quando il turismo viene incorporato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, che diventa (luglio 2018 / settembre 2019) Mipaaft. Ecco l’elenco dei ministri, che dal 2006 a oggi, si sono assunti le deleghe per il turismo: Francesco Rutelli, Michela Vittoria Brambilla, Piero Gnudi, Massimo Bray, Dario Franceschini (più volte), Gian Marco Centinaio, Massimo Garavaglia. Sfido chiunque a citare qualcosa di epocale prodotto da uno di loro, a favore del settore. Perché il Ministero del Turismo, sfilato al Mibac(t) e dotato finalmente di portafoglio, avrà un percorso in salita? Per tre semplici ragioni: 1) il titolo V della Costituzione: la riforma costituzionale del Titolo V (legge costituzionale n. 3/2001) ha reso il turismo una materia di competenza “esclusiva” per le Regioni ordinarie, alla stregua di quanto già previsto per le Regioni speciali (Val d’Aosta, Trentino Alto Adige ecc.); da allora il turismo rientra tra le materie “residuali” (sic - art.117, comma 4), in riferimento alle quali le Regioni non sono più soggette ai limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi statali. Tradotto, ogni Regione (quindi ogni Presidente, ogni Assessore) fa quello che gli pare, spesso in competizione con le altre Regioni, gli altri Presidenti, gli altri Assessori. Un esempio per tutti, lo racconta l’ex ministro leghista Centinaio a Il Foglio del 16.2.2021: “Quando ero al ministero volevo mettere mano alla classificazione alberghiera, per rivedere le modalità con cui si concedono le stelle agli hotel. Ma le Regioni hanno bloccato tutto, perché ognuna potesse continuare a decidere le modalità che preferisce”. 2) il Ministero del Turismo è una scatola mezza vuota (cit. Domani del 19.2.21): “I dipendenti in realtà sono appena una trentina, per lo più a un passo dalla pensione, spesso demotivati dai continui sballottamenti degli ultimi anni, tra un ministero e l’altro; le risorse sono modeste, una settantina di milioni di euro l’anno, da spartire oltretutto con l’Enit, che spende senza brillare, mentre i quattrini per gli investimenti turistici e gli incentivi passano dal Ministero dello Sviluppo Economico”. Ne consegue che un sottosegretario al Mise abbia più potere, nel deviare il flusso del multimiliardario Recovery Fund, del Ministro del Turismo. 3) il turismo in Italia è incoming, non outgoing: Mario Draghi dixit (al Senato, 17.2.21) “(Dovrà cambiare) il modello di turismo, un’attività che prima della pandemia rappresentava il 14% del totale delle nostre attività economiche. Imprese e lavoratori in quel settore vanno aiutati a uscire dal disastro creato dalla pandemia. Ma senza scordare che il nostro turismo avrà un futuro se non dimentichiamo che esso vive della nostra capacità di preservare, cioè almeno non sciupare, città d’arte, luoghi e tradizioni che successive generazioni attraverso molti secoli hanno saputo preservare e ci hanno tramandato”. Da sempre, per la politica e le istituzioni il turismo italiano è Venezia e Capri, la Cappella Sistina e il Duomo, Dante e Raffaello. Appena insediatosi, il ministro Garavaglia ha rimarcato il messaggio: "Bisogna migliorare la nostra capacità di promozione, di attrazione, superando una situazione in cui Regioni e Comuni si muovono in ordine sparso”. Appunto. Qualcuno s'è preso la briga di citare, tra coloro che "vanno aiutati", anche tour operator, network o agenzie di viaggi? Ovvero quei (disgraziati) che mandano turisti e soldi all’estero? "It’s not our business" rispondono al neonato Ministero, che lì l'inglese lo parlano.
29 gennaio 2021 - Dove e come si volerà questa estate? In pochi posti, e male
1. Nessuno vorrà perdere soldi su tratte non profittevoli: neanche Ryanair (che di riserve ne ha sempre avute) sarà disposta a scommettere su aeroporti di terza fascia, quelli dove quando O’ Leary atterra c’è la banda del paese, col sindaco in fascia tricolore, ad attenderlo. Si andrà in meno aeroporti di prima, e ci si stringerà un po’ sui voli (distanziamento sociale permettendo). 2. Ci saranno più cancellazioni e più accorpamenti di voli: bei tempi quando si andava direttamente a Rodi, Creta o Santorini, in volo dall’aeroporto sotto casa, in due ore nell’isola preferita. Ora si comprerà un diretto su Creta e ci si ritroverà a scalare su Rodi, all’andata, e magari pure al ritorno. E la tratta pagata 99 euro con tre mesi di anticipo verrà cancellata tre settimane prima della partenza, con riprotezione una settimana dopo la fine del soggiorno, già prenotato in hotel (ovviamente). Sarà lo yield a fare da padrone, più del solito. 3. Tra spendere di meno e spendere di più, la seconda che ho detto: non ho competenze di pricing, ma so che l’offerta rincorre la domanda, quindi meno gente che viaggia = meno voli = meno disponibilità di posti = meno sconti e promozioni. Si pagherà il giusto, per andare a Maiorca o a Olbia, e anche un po’ di più, in alta stagione; ma il mitico 49,99€ per tratta mi pare improbabile. Spero di sbagliarmi. 4. L’esperienza di viaggio non sarà la stessa di prima: bei tempi quando si arrivava in aeroporto un paio d’ore prima, per volare in Unione Europea, o addirittura un’ora prima, per andare in Sicilia. Con le modalità di sicurezza introdotte (peraltro in perenne evoluzione) saremo costretti a muoverci tra percorsi segnati e distanziamenti, pareti in plexiglas e addetti bardati come astronauti. Per prendere un caffè dovremo toglierci la mascherina, per fare la fila al Gate A 12 partiremo dal Gate A 2, imbarco e sbarco dureranno quanto le consultazioni elettorali. Insomma, in aeroporto non sarà una festa. 5. Viaggiare da e per la Gran Bretagna post Brexit: non lo so, rinuncio. Si accettano suggerimenti. Grazie
12 febbraio 2021 - Perché la montagna d’inverno fallisce e a nessuno importa niente
Qualche dato eclatante, appreso da un documentato articolo de la Repubblica del 31 gennaio 2021. Fra Tarvisio e Courmayeur ci sono oltre 1000 chilometri, nello spazio che collega il Friuli Venezia Giulia alla Val d’Aosta, diviso in sette regioni, vivono 4,2 milioni di italiani. Il turismo in montagna vale 12 miliardi di euro, dei quali 10 arrivano dalla neve e dallo sci: di quei 12, l’80% è generato da dicembre a marzo. Il giro d’affari degli impianti di risalita è pari a 1,2 miliardi, tutto il resto è l’indotto (alberghi, ristoranti, seconde case, maestri di sci, negozi al dettaglio ecc.) che permette di vivere agli oltre 4 milioni di “montanari”. Senza la neve e lo sci, nessuna famiglia di lassù può conservare lo stesso stile di vita. Ancora, mentre sono in corso i mondiali di sci a Cortina d’Ampezzo, premessa alle Olimpiadi di Milano Cortina 2026, l’evento trova a malapena spazio nelle pagine sportive. Perché siamo arrivati a questo punto? Ecco la mia spiegazione, in tre punti, scusandomi per le inevitabili semplificazioni: 1. Perché la montagna e lo sci sono passati di moda: quando ero ragazzo e abitavo al mare (!) il mio sport preferito era... lo sci; non solo ho imparato a sciare su un ghiacciaio, d’estate, ma il mio primo lavoro nel turismo è stato organizzare una settimana bianca per il mio liceo; era il 1978, portai 46 studenti da Anzio (Roma) a Cavalese (Trento) e di quella indimenticabile settimana si parla ancora, tra amici, dopo quarant’anni. C’era la “valanga azzurra” di Thoeni & compagni, c’era la novità, c’era la neve (sconosciuta a tutti coloro che abitavano a sud di Firenze) e soprattutto non c’erano alternative. Pochi anni dopo sarebbe arrivato il Mar Rosso e, col budget di una settimana bianca per una famiglia, a Sharm ci stavi due settimane. Lo sci estivo (all’epoca sullo Stelvio incontravi vagonate di romani, napoletani, baresi) sarebbe scomparso e - da vent’anni - se citi “settimana bianca” in qualunque agenzia di viaggi a nord di Roma ti guardano male. A sud, ti abbracciano. 2. Perché i tour operator l’hanno abbandonata: cosa vi dicono nomi come Emilviaggi, Diplomat Tour o Amicizia Viaggi? Nulla, perché erano piccoli tour operator romani che, quarant’anni fa, stampavano corposi cataloghi dedicati alla montagna d’inverno e facevano bei numeri. Ma erano soprattutto i villaggi invernali di Club Med, Valtur e Club Vacanze, una vita fa, a riempirsi senza problemi. Poi basta, e oggi l’unico tour operator che s’impegna sulla montagna è TH Resorts, il cui fondatore Graziano Debellini ha “messo la pietra tombale sulla stagione invernale 2021”. Programmare la montagna è rischioso perché i prezzi sono alti (di tutto: hotel, attrezzatura, skipass, doposci....), perché non è più in cima alla lista dei desideri dei vacanzieri e infine perché - causa il riscaldamento globale, tra l’altro - si resta aggrappati alla presenza della neve e, nonostante cannoni e innevamento artificiale, non sempre basta. 3. Perché non c’è stata visione, da parte delle località montane: questo è un discorso che vale per le grandi (da Cortina a Courmayeur, da Madonna di Campiglio a Sestriere), perché per le piccole (da Garessio a Foppolo a Sella Nevea) non è possibile fare marketing. Dopo il boom del secolo scorso, con Thoeni e Tomba, lo sci è rimasto appannaggio di chi lo praticava già. In tempi recenti, il carving, più facile, e le piste, sempre più piallate, hanno reso la pratica più semplice e più divertente, ma non hanno allargato la base di utenti. Snowboard prima e free-style dopo si sono rivelati dei fuochi di paglia, ristretti a tribù (si identificano così) di adepti: giovani, pochi e - ovviamente - col portafoglio pieno. Quale evento pubblico e popolare, svoltosi in quota, ricordate di aver visto sul TG1? Avete mai seguito un trend topic che parli di montagna, di neve, di sci? La Ferragni, per dirne una, all'Alpe di Siusi c'è andata, con Fedez e pupo al seguito, a Natale 2018, ma non mi pare abbia lasciato traccia... La montagna d’inverno ricorda un po’ la Liguria: cara, conosciuta, frequentata da chi ha i mezzi e non ha più vent’anni. “L’uomo vive sulle Alpi da 5mila anni. Non esisteva lo sci, non esisteva il turismo”, dichiara Reinhold Messner. “L’uomo continuerà a viverci, questo shock (la pandemia - ndr) ci può aiutare a recuperare una storia. Ora possiamo camminare dove non c’è nessuno”. Visione romantica e condivisibile, quella del più grande alpinista italiano di tutti i tempi. Ma non genera i 12 miliardi che fanno campare 4 milioni di connazionali.
13 gennaio 2021 - Airbnb vs host: chi di disintermediazione ferisce, di disintermediazione (non sempre) perisce, anche in Italia
Due premesse, una a favore di Airbnb, l’altra dei suoi host. Questi ultimi sanno perfettamente che non possono acquisire informazioni (soprattutto i recapiti, come telefono e email) dei clienti che hanno prenotato sulla piattaforma californiana, e che - se vengono colti in fallo - rischiano la sospensione dell’account e, in caso di recidiva, la sua rimozione completa. Airbnb è reduce da una delle IPO (quotazione in borsa a New York, sul listino tecnologico Nasdaq, il 10 dicembre 2020 di maggior successo della storia delle tech company: il titolo, quotato a 68 dollari, il 12 gennaio 2021 vale 148 dollari (e 174 dollari il 19 aprile 2021 - ndr). Più del doppio, in un mese che negli USA ha visto il Covid-19 fare una strage, per cui le premesse sono che il valore di Airbnb (all’esordio pari a 100 miliardi di dollari, miliardo più miliardo meno) cresca ancora. Lo sbarco in Borsa, però, è stato arduo: inizialmente previsto a marzo 2020, la pandemia rivoluzionò i piani e a maggio il CEO & founder Brian Chesky annunciò un drastico taglio della forza lavoro (fuori il 25% dei dipendenti) e alcune azioni mirate a mantenere il business. Tra queste, l’imposizione agli host di rimborsare ai clienti tutto quanto versato in anticipo per soggiorni che non si sarebbero più verificati. Tre riflessioni, a un anno ormai dall'inizio della pandemia. Primo, le regole si rispettano: se gli host Airbnb le hanno accettate, quando erano nel proprio interesse, non possono aggirarle adesso, se non rinunciando a Airbnb stessa. Secondo, tra host e Airbnb, oggi chi sta messo meglio? Ovvio, la piattaforma di San Francisco, seduta su un castello di billions alla Paperon de’ Paperoni, guadagnati grazie a un’immane potere di marketing, ma anche al supporto e al prodotto degli host. I quali non solo hanno perso un sacco di soldi, ma hanno anche limitato potere negoziale, visto che un’alternativa a Airbnb semplicemente... non c’è, o quasi: come non c’è a Booking/Expedia, a TripAdvisor e - allargando il discorso alle FAANG - ad Amazon & C. Terzo, chi di disintermediazione ferisce, di disintermediazione non sempre perisce, ovvero “andare” sul cliente finale non sempre paga. L’esempio ce l’abbiamo in casa: ricordate quando la Pensione Maria di Viserbella o l’Hotel Bellavista di Varazze presero a mandare gli auguri di Natale ai clienti che, nell’estate precedente, erano stati loro mandati da agenzie di viaggi e tour operator? “Pratica commerciale scorretta”, si diceva, anche perché il cliente risparmiava qualcosa, saltando l’intermediario. Da allora non è cambiato granché, se non che la competizione sul cliente finale si è trasferita dai cartoncini di Natale al web. Un auspicio super partes, allora? Che Airbnb spenda bene la montagna di denaro della quale dispone; che gli host sappiano come rialimentare il proprio business. E che a guadagnarci, alla fine, siano i clienti.
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